martedì 24 marzo 2009

Il pizzo di Taranto


Articolo tratto dal blog di Antonio Di Pietro. (per chi volesse leggere tutto)
Ovviamente è un tema che mi sta a cuore su una città dove quel cuore è nato e ha battuto per tanti anni.
Schieramento politico a parte, ringrazio pubblicamente il Sen. Di Pietro per lo spazio dedicato alla vicenda e, ovviamente, Carlo Vulpio.

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Pubblico un intervento di Carlo Vulpio, giornalista e candidato indipendente nelle liste dell'Italia dei Valori alle elezioni Europee del 6 e 7 giugno. Carlo è entrato in politica per rappresentare nelle istituzioni la voce libera dell'informazione, i cittadini ed i colleghi che credono in questo valore.

Testo dell'intervento


"Oggi vi raccontiamo una cosa che probabilmente, ancora per molto tempo, non leggerete su nessun giornale, che non ascolterete su nessuna televisione e su nessun canale radio. Vi parleremo di un fatto che, invece, una informazione libera e responsabile dovrebbe titolare a nove colonne sulle sue prime pagine o dovrebbe dare come prima notizia nei telegiornali e radiogiornali. Oggi noi vi parleremo di Taranto.Taranto, si è scoperto qualche tempo fa, è la città più inquinata d'Europa per emissioni industriali.

Taranto produce il novantadue per cento della diossina italiana.

Taranto è ammorbata da sostanze cancerogene teratogene come gli idrocarburi policiclici aromatici come il mercurio, l'arsenico, il piombo, tutte sostanze che vengono dalle sue principali industrie che non sono industrie di poco conto, ma sono industrie che si chiamano Ilva, la più grande acciaieria d'Europa, si chiamano Eni e la sua raffineria, che si chiamano Cementir, laddove si produce cemento. Queste tre industrie, che sono le più grandi, oltre che ammorbare Taranto e a contribuire in maniera pesante all'aumento dei tumori, delle malattie leucemiche, quindi ad uccidere i tarantini come mosche, non pagano l'Ici al comune di Taranto fin dal 1993, anno in cui l'imposta comunale sugli immobili venne istituita per Legge.L'Ilva, per esempio, ne paga solo una parte, circa tre milioni e mezzo, l'Eni non paga circa sette milioni di Ici ogni anno, la Edison, altra industria, non paga due milioni e duecentomila euro l'anno di Ici. Poi c'è la Cementir che non paga circa centomila euro l'anno, ma questa somma, rispetto alle altre, rischia soltanto di apparire una multa un pochino più salata. In quindici anni, fino al 2007, tutte queste industrie non hanno pagato complessivamente centosettantadue milioni di Ici fra imposte, interessi e sanzioni.

Questo significa che ogni tarantino ha pagato ottocentodieci euro a testa, quello che potremmo tranquillamente chiamare il “pizzo” che la città di Taranto ha pagato a questi, diciamo, nuovi Casalesi?Le cose sconvolgenti sono due: la prima che questa Ici non verrà più pagata per il suo ammontare perché dieci anni, dal 1993 al 2002, sono coperti dalla prescrizione, cioè di questi 172 milioni, all'incirca 120 milioni, non potranno più entrare nelle casse del comune di Taranto.La seconda cosa sconvolgente è che per la prima volta, dopo quarantotto anni, la nuova giunta comunale che si è insediata a Taranto diciotto mesi fa, anche per merito di un nuovo assessore, una signora che si chiama Fischetti ,che è un tecnico prestato alla politica proveniente dall'Agenzia delle entrate, ha disposto assieme al sindaco Stefàno un accertamento fiscale.

Ma ci viene da ridere, scusate, perché abbiamo scoperto che questa è la prima ispezione fiscale che ha subito l'acciaieria più grande d'Europa in cinquant'anni ed è la prima ispezione fiscale che hanno subito anche le altre industrie di cui stiamo parlando.Noi abbiamo anche scoperto che questo è accaduto per una ragione molto semplice: fino all'anno scorso, il servizio dell'Ici è stato appaltato a una società di Taranto che si chiama Emmegi s.r.l., che sta per Mimmo Greco, titolare di questa società, che simpaticamente a Taranto chiamano il papa. Questa società ha riscosso per conto del comune l'Ici. Come mai non ha fatto nessun controllo? Questa è una bella domanda che tutti dovremmo porci, perché intanto l'Ici è una tassa che si autocertifica, quindi cosa facevano queste industrie? Autocertificavano l'Ici che passavano alla società che aveva appaltato il servizio e che questa, a sua volta, girava pari pari al comune di Taranto.Mai nessun controllo e poi si scopre, per la prima volta, che vi è questo grande ammanco.
Un'altra cosa molto grave è che la città di Taranto è il comune che ha fatto registrare in tutta la storia d'Italia il più grande buco finanziario: ha dovuto dichiarare fallimento per l'astronomica cifra di un miliardo e duecento milioni di euro.Voi capite bene come, andando a scovare fatti come questo, si capisce un po' meglio perché un comune fallisca.Tutto questo è davvero allarmante, però noi abbiamo voluto dirvelo perché io, facendo il giornalista, ho scritto un'inchiesta su tutto questo, e sto aspettando, d'accordo col mio giornale, che l'inchiesta venga pubblicata. Non credo che ci saranno ragioni per non pubblicarla, però siccome l'interesse pubblico di questa cosa è molto alto e siccome questo servizio è già da tempo realizzato, è stata una bella idea quella di venire qui con Daniele, che in questo momento mi sta inquadrando e sta ascoltando le cose che io dico, sotto il cavallo della Rai, perché questo splendido esemplare di equino possa correre e sbizzarrirsi libero per i prati, come dovrebbe essere l'informazione pubblica, a cui tanto noi teniamo, compresi i nostri colleghi direttori dei telegiornali della Rai, Mediaset e di La7, che tutti quanti insieme potessimo un giorno raccontare al mondo com'è che Taranto, che è in Italia e in Europa, sia la città più inquinata d'Europa per emissioni industriali e com'è che soltanto a Taranto vi possa essere un quartiere come il Tamburi, chiamato il quartiere dei morti che camminano, perché l'esempio di un sobborgo industriale di una città sulla quale poi è sorta l'industria come neanche, forse, in Pakistan accade non è una mia battuta.Sono sicuro che questa storia la ascolterete nei telegiornali, la vedrete sui giornali e la sentirete anche in radio."

lunedì 23 marzo 2009

Sono loro che speculano...

BIBLIOTECA NAZIONALE DI ROMA : fondi annuali 1,5 milioni di euro

BIBLIOTECA NAZIONALE DI PARIGI : fondi annuali 144 milioni di euro


"La cultura... è un'altra cosa!"
(Emilio Solfrizzi, imitazione di Pinuccio Tatarella a Televiscion, 1997)

domenica 22 marzo 2009

Vecchia fiamma

Per quanto potesse basarsi su ideologie o valori non condivise da tutti, per quanto desse fastidio quella Fiamma all'interno del simbolo e la cui presenza, fortemente voluta e difesa nei tribunali, serviva a ricordare (purtroppo) le origini del partito, Alleanza Nazionale ha rappresentato l'unica forza politica non di sinistra con una sua netta e chiara identità: è stato un partito di destra, puramente di destra, con gente di destra, nè moderati nè estremi fanatici (a parte qualche patetico rappresentante malinconico). Per alcuni aspetti la sua storia è stata anche bella, da Fiuggi in poi, e rimando alla pagina di Wikipedia per chi volesse un riassunto ben fatto. Chi era realmente di destra, chi si ricosceva in quei valori, votava AN, non Forza Italia, non la Lega, non la Mussolini o Storace e non il fanatismo di Forza Nuova o chi per loro. Esattamente come chi non riesce a non fare una crocetta su una falce ed un martello, dalla parte opposta.

E' stata guidata da un leader che non è mai stato quasi mai messo in discussione da nessuno e chi lo ha fatto è stato costretto ad andarsene (per poi ritornarci e riallontanarsi e ritornarci e così via). Non mi dilungherò sulle mie considerazioni su Gianfranco Fini, persona per la quale ho avuto molta stima in passato per la sua serietà, coerenza, correttezza ed eleganza, ma che gli ultimi eventi hanno spazzato via. In ogni caso, riconosco il coraggio che ha avuto nel fare determinate scelte, anche se a dire il vero non si è mai capito se fosse un saggio o un paraculo. Certo, un giorno dovrà spiegarci perchè dare tanta importanza a un elemento così negativo come Gasparri, e a tantissime altre cose, ma aspettiamo senza troppe ansie.

In ogni caso, l'unico vero partito di destra degno di essere definito tale muore, a Roma. Muore suicida.
Che aggiungere?

Pace all'anima sua.

venerdì 20 marzo 2009

Prove tecniche di opposizione

Già tanti hanno cominciato a farlo. Io no. (o non ancora, forse)
Non perchè su Franceschini abbia sempre riposto fiducia, anzi: ho sempre trovato geniale la battuta di un giovane blogger che nella rete aveva sentenziato "il PD ha scelto il vicedisastro". E' che indubbiamente non ci si aspettava un un Franceschini così.

Per carità, siamo ancora lontani chilometri di carisma da quello che dovrebbe essere il vero leader di un'opposizione, il punto di riferimento di una forza partitica di centro-sinistra. In fondo è pur sempre un ex democristiano convinto, la razza è quella. Però non c'è dubbio che abbia stupito in maniera positiva.
Perchè?
Bè, innanzitutto, come ha scritto Leonardo sul suo blog, ha cominciato a parlare di argomenti "di sinistra" (vedi assegni ai disoccupati, fattibile o non che sia la proposta). Ma personalmente mi ha colpito per lo più per essersi distaccato dalla tattica, rivelatasi fallimentare, del "volemose bene" attuata dal suo predecessore. Dopotutto, più che una tattica, io l'ho sempre vista come un'incapacità di comportarsi in maniera più cazzuta. Non ci volevo un genio per capire che contro un'animale da palco elettorale come Berlusconi o uno qualunque dei suoi soldatini non era certo la buona maniera il modo ideale di farsi valere: un elemento come Gasparri continuerà a sparare baggianate e ad offendere (in maniera neanche tanto intelligente) anche se di fronte ha come interlocutore un monaco buddista.

Franceschini ha cominciato ad attaccare Berlusconi ed il suo governo fin da subito, con frecciatine e battute dirette. E quello che ha detto oggi al ministro Brunetta è stata l'ispirazione di questo post.
Ci si deve ancora affidare al dialogo costruttivo di fronte ad uno scempio del genere? Si pensa di poter discutere pacificamente con un dittatore democratico che azzittisce persino i suoi alleati?
No. Si è provato a farlo con due personaggi distinti e non è mai andato bene. E' arrivato (ormai da tempo, in realtà) il momento di attaccare pesantemente. PESANTEMENTE.

Non è Franceschini il futuro del centrosinistra italiano, ho sempre una speranza. Ma credo che possa riuscire bene, a questo punto, a preparare la strada per il suo successore. Ammesso che ce ne sarà solo uno.

Ah, sia chiaro: con questo non mi sono di certo avvicinato al Partito Democratico, anzi: sapeste la rabbia, ogni mattina, ritrovarsi quei manifesti sulla Cristoforo Colombo, verdi e bianchi, con slogan inutili che servono solo a dare un po' di colore alla più stupide banalità. Un giorno forse capiranno anche questo.



p.s. data l'ispirazione di questo post di cui sopra, colgo l'occasione per riportare una testimonianza di un giovane studente della Sapienza dopo gli scontri dell'altro ieri (non lo conosco personalmente, immagino non abbia problemi a questo inserimento)



Manganellate annunciate!
Oggi alle 17.21

Sono anni che scendo in piazza ma quello che è successo oggi davvero non mi era capitato mai. Durante i numerosi cortei a cui ho partecipato mi è capitato di urlare perchè non ci veniva concesso l'accesso ad una piazza, ad un convegno, ad un famigerata "zona rossa", alcune volte anche alla città universitaria ma quello che è successo oggi è davvero unico. Oggi siamo stati rinchiusi dentro la città universitaria a colpi di manganellate. Oggi a Piazzale Aldo Moro le forze dell'ordine ci hanno impedito di uscire in corteo e hanno circondato l'intera struttura, impedendo con la forza l'uscita degli studenti. Oggi per la prima volta abbiamo capito cosa intende il sindaco Alemanno per libertà di protesta. Pare, infatti, che la violenza sia arrivata perchè le forze dell'ordine intedevano far rispettare la recente ordinanza, voluta dal sindaco, che regola i cortei della capitale. Ma queste manganellate erano annunciate e puntuali sono arrivate! Puntuali come quelle che sono arrivate a Bergamo, a Pisa, a Torino. Tutte cariche subite negli scorsi giorni dagli studenti e passate prevalentemente sotto silenzio. E' questa la nuova linea: scoraggiare, se necessario anche con le manganellate, ogni forma di protesta! Vergogna! E si vergognino i politici, gli amministratori e i dirigenti delle forze dell'ordine che hanno creato questa situazione ma soprattutto si vergognino i mezzi di informazione che decidono di tacere su questi episodi.


Pierfrancesco Demilito

mercoledì 18 marzo 2009

Sogni nell'armadietto

Un particolare del materiale* ritrovato negli armadietti dei gruppi studenteschi di estrema destra dell'Università Roma Tre, dopo gli scontri di due giorni fa.

*ridicolo

giovedì 12 marzo 2009

Stracquazzate

Perchè il problema è sempre quello: è da temere la stupidità e l'ignoranza di chi gli gira intorno piuttosto che la sua astuzia. (eccone un esempio)

Lui è uno solo, gli altri sono milioni.

giovedì 5 marzo 2009

Consigli

Riporto per intero un interessante articolo di Carlo Petrini apparso sulla Repubblica.it di oggi, inerente alle spese alimentari in tempo di crisi. Buona lettura.

Mangiar bene e spendere poco
meno sprechi e spesa saggia
In tempi di crisi ci sono misure semplici per poter risparmiare e continuare ad alimentarsi in modo sano e completo

Mangiare bene non costa caro. Se l'unica alternativa in tempi di crisi è andare al fast food o comprare i prodotti di bassissima gamma nei discount, significa che forse abbiamo problemi più gravi e radicati della crisi stessa. Cercare di rimediare alle difficoltà di bilancio mettendo nel proprio piatto - e in quello dei propri familiari - dei cibi non buoni, che alla lunga non fanno bene, e che sono parte integrante di quel sistema consumistico che, a ben vedere, è la causa principale dei nostri mali economici, non è la soluzione.
Anche perché altri modi di comportarsi ci sono, e a scanso di equivoci sgombriamo subito il campo dai prodotti di alta gamma, quelli che effettivamente sono un lusso. Pensiamo invece al cibo quotidiano: a una buona carne, a un buon pesce, a buone verdure. Il cibo di tutti i giorni, e pure il pasto occasionale fuori casa, può essere consumato a prezzi anche molto bassi senza rinunciare alla qualità e facendosi del bene, sia in termini di salute personale sia in termini di salute pubblica. Bisogna però lasciarsi alle spalle il pregiudizio che il cibo buono sia una cosa elitaria e soprattutto cercare di fare due operazioni: ricercare la qualità fuori dal sistema consumistico e riscoprire le buone pratiche domestiche e gastronomiche.

Per come si è strutturato, il sistema industriale alimentare butta via una quantità di cibo paragonabile a quella che produce. È il sistema dello spreco: in tutta la filiera non si fa altro che perdere delle occasioni per risparmiare, e non si creda che chi ci rimette sia poi l'industriale sprecone. Siamo noi ad accollarci tutti i costi: i danni all'ambiente, i costi della sanità e delle medicine per rimediare a diete sballate, a prodotti poco salutari, ricchi di sali, conservanti, aromi di sintesi, grassi "cattivi" che il nostro corpo fa fatica ad assimilare. Ci sono i costi di trasporti dissennati e inquinanti, i costi dei sussidi a un'agricoltura industriale che altrimenti sarebbe al collasso.

Paghiamo il fatto che vengano buttate via 4 mila tonnellate al giorno di cibo commestibile nella sola Italia: perché alimenti di più bassa qualità hanno una durata più breve, perché il sistema di distribuzione da questo punto di vista non è efficiente. Inoltre produciamo tonnellate di rifiuti con gli imballaggi: altri costi per la società, per noi. Mangiando un hamburger di bassa qualità a un euro crediamo di aver risparmiato, ma non è così. Il resto lo paghiamo con le tasse, e se quella dieta ci fa male lo pagheremo anche in medicine: il conto alla fine è salato, molto salato.
Uscire dal sistema significa cercare canali di distribuzione alternativi, che non generino tutto questo spreco e questi costi collettivi. È un vantaggio diretto anche sul prezzo: in ogni città ci sono mercati in cui si può comprare direttamente dai contadini a prezzi vantaggiosi, e con una qualità migliore. Sarebbe poi sufficiente rispettare la stagionalità dei prodotti. In stagione frutta e verdura costano meno. Sfido chiunque a dire che, per esempio, i cavoli sono cari. In un mercato della mia città, dove ancora ci sono i contadini, li ho trovati a 0,60 euro al chilo. Magari sono stato fortunato, ma chi cerca trova. Sono freschi, sono nutrienti e soprattutto a saperli cucinare c'è da sbizzarrirsi. Su un mio libro di cucine regionali ci sono trenta ricette con i cavoli, e in molti casi calcolando il prezzo a porzione si arriva a cifre irrisorie.

Per frutta e verdura, poi, si può anche evitare la fatica di andare al mercato: ci sono i Gas, i gruppi di acquisto solidale sempre più diffusi in tutta Italia, e anche cooperative di produttori che consegnano la merce direttamente a casa. Per restare nel mio Piemonte, la cooperativa "Agrifrutta da te" consegna ogni settimana per 10 euro una cassetta tra 6 e 7 kg di frutta e verdura di stagione coltivata localmente secondo i criteri dell'agricoltura integrata. Consegna a domicilio anche a Torino, ed è stato calcolato che la stessa identica spesa acquistata al mercatino rionale costa circa un euro in più, e dal fruttivendolo anche 3 euro in più al chilo.
Ma non si tratta solo di saper fare la spesa: con le buone pratiche domestiche e gastronomiche si potrebbe risparmiare. Ad esempio non c'è educazione sui tagli animali. La perdita di artigianalità nella macellazione, ormai ridotta a una catena di smontaggio in grande scala a colpi di seghe e seghetti, fa sì che una consistente parte della carne consumabile vada perduta. I tagli meno nobili non sono più richiesti perché si è persa la capacità e la voglia di cucinarli: il consumatore è malato di filetto. La Granda, un'associazione cuneese che opera da anni nell'allevamento sostenibile di bovini di razza piemontese, ha per esempio deciso di vendere tutto, ma proprio tutto, dei loro animali: per far sì che gli allevatori possano guadagnare il massimo, ma tutto ciò si traduce anche in un risparmio per noi. Mi dicono che buttano via soltanto le corna e gli zoccoli degli animali, impiegano anche il quarto anteriore (i muscoli del collo, della pancia, della spalla, dello sterno e il costato) e il cosiddetto "quinto quarto", ovvero testa, coda, organi interni addominali e toracici, sangue e zampe. Ne sono nati dei prodotti come un hamburger (1,15 euro l'uno), la galantina, un'anti-carne in scatola (fatta con guancia, zampe lingua e coda), delle monoporzioni di brodo, dei ragù e dei paté. Un quinto dei loro prodotti sono piatti pronti, tutti senza conservanti e con una materia prima di qualità eccellente, molto gustosa e, secondo una tesi di laurea in medicina dell'Università di Torino, anche dai valori nutrizionali migliori di una normale carne di bovino.

Se la carne migliore della Granda, un taglio pregiato di bovino femmina, costa effettivamente - e giustamente per com'è allevata - più di 20 euro al chilo, cioè di più della sua analoga prodotta con metodi poco sostenibili, per un taglio di polpa di bovino maschio, comprato direttamente dagli allevatori, macellato in modo che non si sprechi nulla, avendo un prodotto di qualità decisamente superiore e che si conserva più a lungo, si può arrivare intorno ai 10 euro. Sarà sufficiente saperlo cucinare, magari in umido o con una cottura lenta, per ovviare al fatto che la carne del maschio è meno tenera di quella della femmina. Se assumiamo che una porzione normale di carne sia di 80-100 grammi (in Italia si consumano mediamente 5 chili di carne alla settimana), il prezzo di quella porzione andrà dunque da uno a due euro a seconda della qualità che scegliamo. E stiamo parlando di bovini allevati con i guanti.
Lo stesso tipo di mancanza di educazione gastronomica si sente per i pesci: pensiamo a quelle specie che sono pescate e ributtate in mare perché non hanno mercato. Tutti vogliono l'orata e il branzino perché non hanno idea di dove iniziare a cucinare le altre specie, per esempio il pesce azzurro: buono, gustoso, salutare, ma leggermente più difficile da preparare. E il pesce azzurro costa veramente poco. Un'altra cosa di cui non siamo più capaci è la conservazione dei cibi: ricordo che in estate dalle mie parti, nei cortili, era tutto un ribollire di grandi pentoloni, in cui si preparavano le conserve. I pomodori erano colti in stagione, al meglio della loro maturazione, e i profumi che si sprigionavano, e che venivano chiusi nei barattoli per poi essere consumati d'inverno erano strepitosi. Oggi d'inverno vogliamo i pomodorini che arrivano da chissà dove, sono cari e poveri di gusto. Costerà tanto di più un vasetto di passata fatto in casa?

Tutte queste buone pratiche, queste accortezze e questo bagaglio di creatività popolare, sono state quasi abbandonate, ma si potrebbero tradurre in risparmio, in soldi veri. Se non siamo più disposti a cucinare, a cercare i prodotti buoni e vicini, coltivati appena fuori città e di stagione, che ci possono realmente costare meno, non possiamo poi lamentarci del fatto che il cibo è caro. E se proprio vogliamo concederci un pasto fuori, anche qui la tradizione italiana è molto generosa. Un panino con la milza a Palermo, un panino con il lampredotto a Firenze, un cartoccio di pescetti fritti a Genova si aggirano tutti sui due euro. Per poco di più si può mangiare una buona pizza a Napoli o un buon piatto di pasta nelle tante trattorie low cost che ci sono ancora nelle nostre città e nei nostri paesi.
Non è vero che mangiare bene costa caro: non sappiamo più come si fa. In sprezzo a una tradizione gastronomica, quella regionale italiana, che ha creato dei capolavori di ricette partendo dal poco che si aveva a disposizione in casa, e cioè da un unico grande assunto: la fame.